Serve una riflessione scientifica,
onesta e “no-nimby” sul mix delle fonti, compreso il carbone
La Memec di Merano, ditta
che produce silicio, ha recentemente vagliato la possibilità di ottenere una
fornitura di elettricità dall’Austria, cercando di risolvere il problema della
salata bolletta che le imprese italiane sono costrette a pagare. Il tentativo
al Nord è giustificato dalla vicinanza geografica con altri mercati
dell’energia (anche se fallirà per questioni normative e tecniche), mentre nel
Meridione non è un’opzione percorribile (almeno nel breve-medio periodo,
considerando ad esempio i progetti di interconnessione con la produzione da
rinnovabili in Africa, che richiedono tempi lunghi).
Per le ditte nel Mezzogiorno
(piccole, medie o grandi che siano), dunque, è urgente trovare una soluzione
concreta ed alternativa, poiché il costo alto
dell’energia rappresenta una delle motivazione principali che porta le
aziende in crisi a chiudere o delocalizzare. Una problematica riproposta negli
ultimi mesi ogni qual volta si apre o s’inasprisce una vertenza industriale al
Sud: Ilva, Sulcis, Irisbus, solo per citarne alcune, «ma
anche Enel o Edipower, laddove si potrebbero considerare
riconversioni per utilizzare impianti e insediamenti produttivi altrimenti
obsoleti e/o economicamente non più praticabili: es. Rossano Calabro (CS),
Brindisi Nord o San Filippo del Mela (ME)», come spiega Rinaldo Sorgenti,
vice presidente Assocarboni. Dunque, urge una via d’uscita dallo stallo della
situazione che possa far sentire i suoi effetti in un periodo ragionevolmente
breve, poiché la crisi industriale (e quindi occupazionale e sociale) è giunta ai
livelli record che nel Sud tutti conoscono.
Il Governo uscente ha
impostato una strada maestra valida per l’intero Paese, identificata nella Strategia
Energetica Nazionale (SEN). Un documento ritenuto nel complesso positivo da
molti opinionisti, costituito di intenti (molti e variegati) e strumenti (da
più fronti giudicati pochi e non ben definiti) che dovrebbero aiutare a uscire
dall’attuale recessione e indirizzare il futuro del Paese in questo
fondamentale settore, seppur con iniziative (da amalgamare per la differente
natura di alcune) i cui effetti che non si vedranno certamente in un raggio di
tempo breve e atto a tamponare le difficili situazioni che si manifestano oggi
nel Mezzogiorno con tutta la loro drammaticità.
C’è un aspetto all’interno
della SEN che viene totalmente trascurato rispetto ad altri e che nel Sud,
invece, dovrebbe aprire una riflessione seria sulla possibilità di produrre
energia a minor costo, creando le condizioni per sostenere la competitività del
comparto produttivo: l’uso del carbone nella generazione elettrica. Non
una panacea di tutti i mali del sistema energetico nazionale, certamente, ma
comunque un tema sul quale, come spesso accade in Italia, manca una riflessione
informata e avulsa da “istinti di pancia” o populismo; in sintesi, un confronto
fatto su basi scientifiche e tecniche che dovrebbero costituire le fondamenta
imprescindibili quando si trattano argomenti come l’energia, soprattutto quando
impattano sulla vita delle persone e il benessere in un Paese sviluppato.
Proprio nell’ultimo periodo
due casi hanno rianimato questo tipo di dibattito nel Meridione: l’importante
centrale a carbone di Cerano (Brindisi Sud) e quella che si vorrebbe
costruire a Saline Joniche (RC). Due casi differenti (dei quali ci
interessa l’aspetto “energetico” e quindi di sviluppo, non altri sui quali non
entreremo nel merito, ndr), che hanno in comune un’opposizione locale di alcuni
gruppi sociali, associazionistici o istituzionali; come nel caso di Greenpeace,
che ha deciso di affiggere dei manifesti nella città pugliese che associano
delle immagini di bambini, purtroppo ammalati di varie patologie, a quelle
della centrale. L’iniziativa ha suscitato non poche polemiche ed è stata così
spiegata dagli autori: «Con questa campagna intendiamo richiamare l’attenzione
su un dato che non deve essere mai dimenticato: gli impatti sanitari delle
centrali a carbone di Brindisi, come quelli di qualsiasi impianto alimentato
con la stessa fonte, sono enormi; e la popolazione più esposta a quei mali sono
i bambini, spesso colpiti dagli inquinanti ancor prima di nascere», dichiara Andrea
Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Secca la replica, a titolo
personale, di Rinaldo Sorgenti
(peraltro, come citato, anche vice presidente Assocarboni): «È semplicemente
vergognosa e spudorata l’azione di questi signori. Utilizzano l’immagine dei
bambini evocando problemi di salute e lasciando surrettiziamente intendere che
è la centrale a essere la causa delle patologie. Una cosa inqualificabile».
Poniamoci allora qualche riflessione al dt. Sorgenti.
La prima valutazione da
fare, inevitabilmente, è quella sugli effetti per la salute di una centrale
termoelettrica: quali rischi ci sono?
«Il problema è che si
demonizza il carbone a prescindere. La centrale di Brindisi Sud è un impianto
non nuovissimo ma efficiente, come tanti altri in Europa, che ha tutte le
caratteristiche per rispettare le regole ambientali e di emissione previste per
questo tipo di attività produttiva dalla stringente legislazione europea;
dunque: desolforatori, depolverizzatori, denitrificatori, etc. che consentono di limitare al minimo le
emissioni potenzialmente nocive in atmosfera. Il supposto problema nasce quando
si demonizza il prodotto, senza considerare la tecnologia, e si ascia intendere che gli operatori siano
degli sconsiderati, che non rispettano le leggi europee e italiane».
Ma le norme europee sono sufficientemente avanzate per
tutelare la salute delle persone che vivono nei pressi di una centrale che
produce elettricità attraverso il carbone?
«Certamente lo sono,
diversamente si dovrebbero accusare tutte le istituzioni europee, soprattutto
quelle predisposte alla salvaguardia della salute delle persone, come la WHO - World
Health Organization. Le regole sono molto restrittive e le emissioni sono
abbondantemente sotto di esse. Tali norme europee, molto ferree e rigide, sono
poi ampiamente monitorate in continuo nell’applicazione da parte delle Autorità
competenti locali. È importante conoscere tecnologicamente questi impianti,
altrimenti non avremmo nessuna attività industriale e produttiva che utilizza
combustibili fossili, elementi fondamentali per conservare il benessere nei
paesi sviluppati. Quando si parla del carbone si dovrebbe ricordare che la sua
origine è, indubitabilmente, il mondo
vegetale e i componenti del carbone non possono essere che quelli del prodotto
che gli ha dato origine. Facendo un confronto con altri paesi, prendiamo la Germania,
una realtà che fa sempre da riferimento per tutto, in qualsivoglia attività
industriale; ebbene, produce il 42% dell’elettricità dal carbone, cioè, in
proporzione, sette volte di più di quanto si faccia in Italia, visto che la
Germania produce il doppio dell’elettricità rispetto a noi. Se le dichiarazioni
che fanno coloro che hanno agito a Brindisi fossero veritiere, evidentemente la
Germania dovrebbe essere un “lazzaretto”, cioè un luogo insalubre e impedito
alla residenza e al transito per chiunque, dati i teorici problemi ambientali e
di salute che causerebbe la produzione elettrica locale. Chiaramente non è
così».
Volendo approfondire il discorso sulla salute
pubblica, prima di considerare gli aspetti economici e sociali connessi a
questa attività produttiva, va detto che delle emissioni dovute alla produzione
elettrica ci sono, come sottolineato dalle associazioni ambientaliste.
«Dire che le molteplici
attività produttive non abbiano alcun impatto ambientale è certamente non vero.
La questione è valutare l’incidenza di una data attività in un dato settore,
nel contesto in cui viviamo. Ovviamente, il buon senso vorrebbe che si
focalizzasse l’attenzione su tutte le attività produttive e anche civili
presenti nei vari luoghi. Per esempio: la produzione di cemento, acciaio,
carta, metalli o la raffinazione del petrolio, il traffico veicolare, le
emissioni dovute al riscaldamento civile, il fumo di sigarette; solo in
quest’ultimo caso, moltiplicando le emissioni di una singola sigaretta per
tutti i fumatori in una città o provincia, si raggiungono emissioni largamente
superiori a quelle di un impianto industriale presente nella stessa area.
Quando si demonizza una singola fonte, senza avere una minima conoscenza delle
tecnologie che la riguardano, altrimenti è come guardare al dito mentre si
indica la Luna. Tra le varie attività produttive, quella termoelettrica in
impianti tecnologicamente avanzati è tra le meno impattanti in assoluto».
La tesi dell’impatto ambientale è stata ripresa da
diversi soggetti, ad esempio dal governatore della regione Calabria in
riferimento alla possibilità di realizzare una centrale a carbone a Saline
Joniche, seppur in presenza di tecnologie molto avanzate.
«Innanzi tutto bisognerebbe
domandarsi cosa vuol dire “inquinante”. Ad esempio, non avrebbe senso
demonizzare anche una sola particella, perché anche se si va semplicemente in
motorino si inquina. Quello che
conta sono le emissioni complessive, considerate in assoluto dalla normativa UE
per la salvaguardia dell’ambiente e della salute. In particolare, un modernissimo
impianto come quello proposto per Saline J. avrebbe tutte le caratteristiche di
salvaguardia richieste dalle leggi, andando ampiamente sotto i limiti
richiesti».
(Sempre in tema di
emissioni e di tecnologie, vi è l’argomento CCS - cattura e stoccaggio della
CO₂, un ulteriore aspetto da prendere in considerazione, che sarà affrontato da
questo blog a breve, ndr).
Volendo allargare le valutazioni ad altri aspetti,
l’Italia ha oggi un “mix delle fonti” per la produzione elettrica fortemente basato
su due elementi: gas naturale e rinnovabili. Il carbone, dalla sua, ha un costo
molto più basso della materia prima, unito a una favorevole condizione per
l’approvvigionamento nel Sud Italia. Un vantaggio competitivo per il
Mezzogiorno?
«Più che favorevole. Siamo
immersi nel Mediterraneo e raggiungere un porto del Sud significa minori giorni
di navigazione rispetto al portare lo stesso prodotto nei porti del Nord Ovest
o Est del Paese. Il carbone è del tutto trasportato via mare, un aspetto
logistico che lo fa preferire a qualsiasi altra fonte dal punto di vista
ambientale e della sicurezza, come specifica anche la IMO “International
Maritime Organization”. Tra i principali esportatori del carbone ci sono
Indonesia, Australia, Sud Africa, Russia, Stati Uniti, Colombia, Venezuela».
«Esattamente l’opposto! La
generazione elettrica da carbone è del tutto complementare a quella delle fonti
rinnovabili, per ragioni tecniche, economiche e di vera sostenibilità. La
razionalità, infatti, dovrebbe insegnare
che in ogni territorio andrebbe realizzato il miglior mix energetico
possibile per quella realtà, in un dato periodo, seppure ragionevolmente lungo,
non in assoluto, guardando con rigore scientifico e tecnico a tutte le fonti di
energia - nucleare compreso, ma questa è
“un’altra storia” che sarà
affrontata da questo blog -. Le soluzioni da adottare non devono però mai
perdere di vista la necessità assoluta di poter disporre dell’elettricità,
abbondante e a costi ragionevoli, sempre e dove serve. Tenuto conto della non
programmabilità della generazione elettrica da solare ed eolico, è evidente che
occorra un’opportuna diversificazione e equilibrio nel mix di generazione
presente nei vari luoghi. Ipotizzare che al Sud, ad esempio, vi possa essere
solo eolico, biomasse o fotovoltaico non avrebbe letteralmente senso, perché
vorrebbe dire mantenere o far regredire quelle aree a condizioni inadeguate e
inaccettabili per le stesse popolazioni, oltre a creare gravi condizioni di
sostenibilità per lo stesso Paese. Ogni scelta deve sempre essere fatta con
rigore scientifico, onesta morale e senza la negativa influenza ideologica del
“nimby”!».
Realizzare centrali a carbone nel Sud, dunque,
rappresenta una possibilità di rilancio industriale per il territorio, grazie a
energia più a buon mercato?
«Certamente sì. Prima di
tutto bisogna considerare che l’Italia è una “banchina” in mezzo al mare e
quindi costruire una centrale termoelettrica a carbone localizzata vicino alla
costa permette di avere facile disponibilità di acqua per il semplice
raffreddamento degli impianti nel loro ciclo operativo. Inoltre, se si guarda
alla borsa elettrica per le attività produttive, in Sicilia ad esempio si paga
l’elettricità a un prezzo del 50% circa più elevato rispetto al
“continente”, proprio perché non si usa anche il carbone, ma combustibili
fossili e sistemi diversi e più costosi. Questo non aiuta la
nascita di attività produttive, così come in altri territori del Sud. Molti
obiettano, come in Calabria, con questa argomentazione: “Ma noi produciamo più
energia di quanta se ne consuma”; questo mostra solo che quello è un territorio
tra i meno sviluppati del Paese e con un indice di benessere più basso,
espresso da una domanda minore di elettricità».
La questione non è consumare meno, ma produrre e
consumare meglio (efficienza energetica) e a costi più bassi possibili.
«Il poter disporre di
elettricità abbondante e a prezzi ragionevoli è il principale volano di
qualsiasi attività produttiva, oltreché dello sviluppo e del benessere nelle
società avanzate. A dimostrazione di ciò il fatto che in tutti i Paesi più
avanzati del Mondo la produzione elettrica è fatta principalmente con il carbone, talvolta abbinata con il
nucleare. Questa è la realtà per 7 dei Paesi G8. Lascio al
lettore di indovinare quale sia l’ottavo… O sono tutti folli gli altri, oppure
c’è qualcosa di fondamentale e non compreso in Italia».
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