lunedì 26 novembre 2012

A SUD DEL SUD LE AZIENDE ITALIANE SCAMBIANO TECNOLOGIE PER ENERGIA



Generazione distribuita Vs energia dal Mediterraneo, tra i due litiganti il terzo (forse) gode: l’industria del nostro Paese e in particolare del Mezzogiorno. Negli ultimi anni abbiamo capito e toccato con mano che, principalmente grazie all’avvento delle fonti di energia rinnovabile (fer), l’energia termica e quella elettrica si generano sempre meno nelle grandi centrale (dislocate in pochi punti sul territorio), ma sempre più in piccoli impianti posizionati vicino ai centri di consumo (sui tetti delle fabbriche o non lontano dai centri abitati).

Parallelamente, una strategia meno nota si è affermata, quella dell’energia dal Mediterraneo (parafrasando anche il noto testo di Roberto Vigotti, Energia dal deserto). Si tratta della possibilità di produrre elettricità nel Nord Africa (e non solo), dove c’è grande disponibilità di spazi e dove è più semplice generare in grid parity (cioè in maniera competitiva rispetto all’uso di fonti fossili, data l’enorme forza delle risorse naturali come sole e vento, che permettono di produrre senza bisogno un gap economico rispetto alle altre fonti). L’energia prodotta, poi, si potrà esportare verso l’Unione europea costruendo elettrodotti e infrastrutture di connessione, come già accaduto (e ancora in divenire) per l’export del gas naturale. 

La generazione distribuita nei pressi dei centri di consumo è una visione sostenuta, tra i tanti, dalla European Photovoltaic Industry Association (che ha diffuso lo scorso settembre il report “Connecting the sun: HowEurope’s electricity grid can integrate solar photovoltaics”). Sul fronte opposto, le potenzialità e l’interesse per il consumo europeo di energiaimportata dall’Africa del Nord sono stati approfonditi nel recente rapporto annuale "Le relazionieconomiche tra l'Italia e il Mediterraneo" del centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno - SRM.

Ho approfondito le potenzialità di mercato del secondo modello con Alessandro Panaro, dirigente reparto ricerche infrastrutture SRM. «Noi abbiamo due filoni di ricerca che seguiamo con attenzione: i trasporti e la logistica; le public utilities, con particolare riferimento alle risorse idriche e all’energia. Anche da qui nascono la terza parte del rapporto e due dei temi che abbiamo privilegiato: il trasporto marittimo e le rinnovabili».

Lo sviluppo delle fer in Nord Africa è una risorsa per quei Paesi in termini di sicurezza energetica; occorre però capire anche cosa rappresenta per le altre realtà del Bacino mediterraneo e in particolare per l’Italia, pensando anche a progetti come Desertec o Medgrid (i concreti piani industriali che puntano a creare le infrastrutture per generare e trasportare l’energia dai Paesi Nord Africani verso l’Europa).

«Io credo - prosegue Panaro - che le opportunità siano di tre tipi. La prima riguarda la strumentazione, perché questi paesi sono privi di un requisito fondamentale per sviluppare le rinnovabili: la tecnologia stessa; gli Stati che meglio sapranno vendere tecnologia su queste piazze avranno grandi vantaggi. Se prendiamo in considerazione l’Italia, essa è chiaramente carente in fabbricazione e sviluppo di tecnologie. Il problema è ancor più grande se si considera il solo Mezzogiorno, dove è concentrata la maggior quota delle fer (il 98% della produzione eolica nazionale). In un territorio che ha vento e sole, si può pensare che siano nate anche imprese che sfruttino queste risorse producendo tecnologie, invece siamo andati a chiederle all’estero. Certo, anche in Italia ci sono e soprattutto stanno nascendo ottime realtà, ma non possiamo dire di avere una filiera consolidata».

Se si vuole cogliere questa prima opportunità, dunque, «dobbiamo porre rimedio, paesi come Germania, Danimarca o la stessa Cina sono avanti». un mercato che riguarda sia l’implementazione di tecnologie per gli impianti di rinnovabili, sia per lo sviluppo delle reti: «La Turchia ha dei flussi solari potentissimi, particolarmente nel Sud, ma manca una vera rete energetica. Dovranno prima di tutto pensare a potenziarla, poi si potrà parlare di esportazione dell’energia».

La seconda opportunità è invece a carattere logistico, legata cioè al «trasporto di quella stessa tecnologia verso l’Africa. Tutti i materiali per gli impianti rinnovabili e soprattutto per le reti che li connetteranno andranno esportati in queste aree attraverso consolidate reti logistiche. Il Mezzogiorno d’Italia avrebbe le potenzialità per farlo». Basti pensare «ai grandi porti del Sud. Dai nostri studi è sempre emerso un grande traffico marittimo ben sviluppato in essi, considerando anche le diseconomie che le nostre strutture portuali devono affrontare rispetto a quelle estere - come per i problemi burocratici e di ammodernamento, basti pensare all’elettrificazione delle banchine o alla riconversione per le navi alimentate a gnl -. Se non sosteniamo il nostro sistema dei trasporti marittimi l’Italia è destinata a perdere di competitività».

Un esempio è a Taranto, dove uno dei più grandi produttori di turbine eoliche, la danese Vestas, ha realizzato uno stabilimento produttivo «che sfrutta il vicino porto per inviare le proprie tecnologie»

Infine, l’opportunità finanziaria. «Occorre individuare - conclude Panaro - quali tipi di flussi andranno a sostenere il piano molto ambiziosi che stanno emergendo, di cui molti sono stati analizzati nel report SRM. Dunque, si punterà su investimenti stranieri o interni? Questo è un mercato che va sondato».

In sintesi, dunque, il fatto che nei Paesi meridionali del Bacino mediterraneo si stiano sviluppando forti piani di produzione di energia rinnovabile è un’opportunità per quelle aziende che sapranno offrire loro know-how e tecnologie per realizzare gli impianti, oltre alle reti che potranno integrarli nel sistema elettrico di questi Paesi.

Inoltre, queste realtà si candidano a diventare esportatori di energia e la realizzazione delle grandi connessioni di trasporto, inevitabilmente candidate a passare per il Mezzogiorno d’Italia (così come accade, in parte, per le pipeline del gas), costituiscono sia un mercato fisico di produzione e realizzazione delle reti, sia un mercato economico in termini di approvvigionamento dell’energia a un prezzo potenzialmente migliore; è noto quanto il costo dell’energia sia forse il principale problema che ostacola la sopravvivenza delle aziende nel Sud Italia e la nascita di nuove.

Infine, l’opportunità finanziaria per quelle realtà di settore che vorranno credere in questi progetti investendo in prima persona. Non tutte queste condizioni di opportunità si verificheranno con certezza, probabilmente la maggior parte ma con gradi e livelli differenti. Resta l’evidente potenzialità che le imprese del Meridione, sfruttando in primis la “fortuna geografica” (per una volta), che devono provare a cogliere.

Resta la strategia della generazione distribuita nei pressi dei centri di consumo. Questo è un processo probabilmente irreversibile che non esclude l’altro. Ma proprio perché già avanzato ha fatto già  i conti con varie problemi: la mancanza di grid parity che ha portato ai sistemi di incentivazione che pesano in bolletta (dovuti anche a problemi di cattiva gestione), la necessità di investire sullo sviluppo delle reti di distribuzione verso le smart grid (reti intelligenti che associano gli usi convenzionali alle possibilità offerte dalle infrastrutture ICT, soprattutto nel campo del controllo e risposta della domanda), l’assenza di una reale politica energetica europea. Non tutto è perduto, ma probabilmente nuovi orizzonti dovranno essere aperti da uno sviluppo tecnologico ulteriore, che non può prescindere dal sostegno alla ricerca; quella stessa ricerca in cui eccellono le tante menti del Sud, troppo spesso protagoniste delle fughe verso un Nord lontano da tutto, anche dal Mediterraneo.


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lunedì 5 novembre 2012

C’E’ ANCORA MOLTO LAVORO NELL’EOLICO MA OCCORRE SAPERE DOVE CERCARE




Lavorare con l’eolico si può e, dopo lo sviluppo occupazionale registrato negli ultimi anni, nel prossimo futuro sarà importante scovare le aree di maggiore interesse e opportunità. In virtù dell’evoluzione normativa che il comparto eolico sta assumendo, sempre più importanza acquisirà non solo la capacità di realizzare impianti innovativi, ma quella di saperli gestire nel migliore dei modi, con efficienza, così come per quelli già esistenti. È in questo ambito che saranno ricercate le professionalità in cui giovani del Sud (tra i più specializzati e professionalizzati in Italia) possono trovare occasioni lavorative nel mondo dell’energia.

Come spiega Simone Togni, presidente dell’ANEV - Associazione Nazionale Energia del Vento: «Il vento è al Sud. Le società che si occupano di realizzare impianti, quelle storiche e più importanti, hanno da subito capito che per un’attività sul territorio di questo tipo fosse necessario e giusto utilizzare manodopera locale, spesso giovani di valore del Mezzogiorno, perché più facile già dal punto di vista logistico. Dallo studio ANEV-UIL 2012, al 2020 potremmo arrivare a 67mila occupati nell’eolico (oggi 39mila), con un terzo di posti di lavoro stabili e non soltanto legati al periodo di costruzione. Lavoratori fissi nel settore gestione, Operating and Maintenance e manutenzione - quindi di “service” per impianti - che nel complesso arriverebbero a 25mila addetti (oggi 12mila). Altrettanti quelli di costruzione e installazione». I lavoratori afferenti al “service” «sono il principale ritorno occupazionale, quello più vero e più stabile, con un impianto eolico che ha una vita in media di venti anni. Posti di lavoro per lo più con specifiche tecniche molto elevate che sempre più potranno essere un plus per i giovani che vorranno impegnarsi».

L’eolico è da sempre una risorsa del Mezzogiorno. Molte le ricerche e gli studi che descrivono la  capacità nel Sud di produrre energia rinnovabile dal vento. Tra questi il Rapporto 2012 di Legambiente “Comuni Rinnovabili” spiega: “Sono 6.912 i MW eolici installati in 450 Comuni italiani. Le torri eoliche con potenza maggiore di 200 kW (grande eolico) si concentrano nel Sud e sono presenti in 271 Comuni: il 3% del totale dei comuni italiani, a dimostrazione di come il possibile impatto di questi impianti rispetto al paesaggio italiano abbia riguardato un’area molto limitata del Paese. Per gli impianti sotto i 200 kW (piccolo eolico), questi sono presenti in 246 comuni, di cui 118 al Sud”. 

La stessa presenza territoriale delle pale eoliche, però, ha generato non poche polemiche negli ultimi anni, dettate dall’ansia di veder nascere impianti in aree protette o dall’alto valore storico o ambientale. In tal senso più volte sono state date rassicurazioni da pare degli operatori e delle associazioni di categoria, sottolineando i vari protocolli sottoscritti che scongiurano la possibilità per lo sviluppo di un eolico selvaggio. Protocolli cui seguono controlli, affinché le parole non restino al vento (è il caso di dirlo). Gli esempi sono proprio nel Mezzogiorno e certificano l’applicazione dei principi stabiliti. È notizia di pochi giorni fa infatti la bocciatura da parte di Legambiente di un parco eolico intercomunale nell’area del Gargano in Puglia. 

Detto dei controlli e delle corrette eccezioni, sarà importante per il futuro rendere sempre più partecipi e consapevoli le comunità locali, potenzialmente ospitanti di nuovi impianti, della bontà delle opere eoliche soprattutto in termini di ritorni occupazionali sul territorio. Ciò, allo scopo di non perdere l’ennesima occasione si generare economie al Sud per motivi più o meno futili, come l’esteticità di una pala (da molti ritenuta invece un valore aggiunto e positivo per il paesaggio), soprattutto in aree dove lo stesso scenario non è certo indimenticabile, come sulle tante dorsali stradali del Meridione.

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