Generazione distribuita Vs energia dal Mediterraneo, tra i due
litiganti il terzo (forse) gode: l’industria del nostro Paese e in particolare
del Mezzogiorno. Negli ultimi anni abbiamo capito e toccato con mano che,
principalmente grazie all’avvento delle fonti di energia rinnovabile (fer),
l’energia termica e quella elettrica si generano sempre meno nelle grandi
centrale (dislocate in pochi punti sul territorio), ma sempre più in piccoli
impianti posizionati vicino ai centri di consumo (sui tetti delle fabbriche o
non lontano dai centri abitati).
Parallelamente, una strategia
meno nota si è affermata, quella dell’energia dal Mediterraneo (parafrasando
anche il noto testo di Roberto Vigotti, Energia dal deserto). Si tratta della
possibilità di produrre elettricità nel Nord Africa (e non solo), dove c’è
grande disponibilità di spazi e dove è più semplice generare in grid parity (cioè in maniera
competitiva rispetto all’uso di fonti fossili, data l’enorme forza delle
risorse naturali come sole e vento, che permettono di produrre senza bisogno un
gap economico rispetto alle altre fonti). L’energia prodotta, poi, si potrà
esportare verso l’Unione europea costruendo elettrodotti e infrastrutture di
connessione, come già accaduto (e ancora in divenire) per l’export del gas
naturale.
La generazione distribuita nei
pressi dei centri di consumo è una visione sostenuta, tra i tanti, dalla European Photovoltaic Industry Association
(che ha diffuso lo scorso settembre il report “Connecting the sun: HowEurope’s electricity grid can integrate solar photovoltaics”). Sul fronte
opposto, le potenzialità e l’interesse per il consumo europeo di energiaimportata dall’Africa del Nord sono stati approfonditi nel recente rapporto annuale "Le relazionieconomiche tra l'Italia e il Mediterraneo" del
centro Studi e Ricerche per il
Mezzogiorno - SRM.
Ho approfondito le potenzialità
di mercato del secondo modello con Alessandro
Panaro, dirigente reparto ricerche
infrastrutture SRM. «Noi abbiamo due filoni di ricerca che seguiamo con
attenzione: i trasporti e la logistica; le public utilities, con particolare
riferimento alle risorse idriche e all’energia. Anche da qui nascono la terza
parte del rapporto e due dei temi che abbiamo privilegiato: il trasporto
marittimo e le rinnovabili».
Lo sviluppo delle fer in Nord
Africa è una risorsa per quei Paesi in termini di sicurezza energetica; occorre
però capire anche cosa rappresenta per le altre realtà del Bacino mediterraneo
e in particolare per l’Italia, pensando anche a progetti come Desertec o Medgrid (i concreti piani industriali che puntano a creare le
infrastrutture per generare e trasportare l’energia dai Paesi Nord Africani
verso l’Europa).
«Io credo - prosegue Panaro - che
le opportunità siano di tre tipi. La prima riguarda la strumentazione, perché
questi paesi sono privi di un requisito fondamentale per sviluppare le
rinnovabili: la tecnologia stessa; gli
Stati che meglio sapranno vendere tecnologia su queste piazze avranno grandi
vantaggi. Se prendiamo in considerazione l’Italia, essa è chiaramente carente in
fabbricazione e sviluppo di tecnologie. Il problema è ancor più grande se si
considera il solo Mezzogiorno, dove è concentrata la maggior quota delle fer (il
98% della produzione eolica nazionale). In un territorio che ha vento e sole, si
può pensare che siano nate anche imprese che sfruttino queste risorse producendo
tecnologie, invece siamo andati a chiederle all’estero. Certo, anche in Italia
ci sono e soprattutto stanno nascendo ottime realtà, ma non possiamo dire di
avere una filiera consolidata».
Se si vuole cogliere questa prima
opportunità, dunque, «dobbiamo porre rimedio, paesi come Germania, Danimarca o
la stessa Cina sono avanti». un mercato che riguarda sia l’implementazione di tecnologie
per gli impianti di rinnovabili, sia per lo sviluppo delle reti: «La Turchia ha
dei flussi solari potentissimi, particolarmente nel Sud, ma manca una vera rete energetica. Dovranno prima di
tutto pensare a potenziarla, poi si potrà parlare di esportazione dell’energia».
La seconda opportunità è invece a
carattere logistico, legata cioè al «trasporto di quella stessa tecnologia verso
l’Africa. Tutti i materiali per gli impianti rinnovabili e soprattutto per le
reti che li connetteranno andranno esportati in queste aree attraverso
consolidate reti logistiche. Il Mezzogiorno d’Italia avrebbe le potenzialità
per farlo». Basti pensare «ai grandi porti del Sud. Dai nostri studi è sempre
emerso un grande traffico marittimo ben sviluppato in essi, considerando anche
le diseconomie che le nostre strutture portuali devono affrontare rispetto a
quelle estere - come per i problemi burocratici e di ammodernamento, basti
pensare all’elettrificazione delle banchine o alla riconversione per le navi
alimentate a gnl -. Se non sosteniamo il nostro sistema dei trasporti marittimi
l’Italia è destinata a perdere di competitività».
Un esempio è a Taranto, dove uno
dei più grandi produttori di turbine eoliche, la danese Vestas, ha realizzato
uno stabilimento produttivo «che sfrutta il vicino porto per inviare le proprie
tecnologie»
Infine, l’opportunità finanziaria. «Occorre individuare - conclude Panaro - quali
tipi di flussi andranno a sostenere il piano molto ambiziosi che stanno
emergendo, di cui molti sono stati analizzati nel report SRM. Dunque, si
punterà su investimenti stranieri o interni? Questo è un mercato che va sondato».
In sintesi, dunque, il fatto che
nei Paesi meridionali del Bacino mediterraneo si stiano sviluppando forti piani
di produzione di energia rinnovabile è un’opportunità per quelle aziende che
sapranno offrire loro know-how e tecnologie per realizzare gli impianti, oltre
alle reti che potranno integrarli nel sistema elettrico di questi Paesi.
Inoltre, queste realtà si
candidano a diventare esportatori di energia e la realizzazione delle grandi connessioni
di trasporto, inevitabilmente candidate a passare per il Mezzogiorno d’Italia
(così come accade, in parte, per le pipeline del gas), costituiscono sia un mercato fisico di produzione e
realizzazione delle reti, sia un mercato
economico in termini di approvvigionamento dell’energia a un prezzo
potenzialmente migliore; è noto quanto il costo dell’energia sia forse il
principale problema che ostacola la sopravvivenza delle aziende nel Sud Italia
e la nascita di nuove.
Infine, l’opportunità finanziaria
per quelle realtà di settore che vorranno credere in questi progetti investendo
in prima persona. Non tutte queste condizioni di opportunità si verificheranno
con certezza, probabilmente la maggior parte ma con gradi e livelli differenti.
Resta l’evidente potenzialità che le imprese del Meridione, sfruttando in
primis la “fortuna geografica” (per
una volta), che devono provare a cogliere.
Resta la strategia della
generazione distribuita nei pressi dei centri di consumo. Questo è un processo
probabilmente irreversibile che non esclude l’altro. Ma proprio perché già
avanzato ha fatto già i conti con varie problemi:
la mancanza di grid parity che ha
portato ai sistemi di incentivazione che pesano in bolletta (dovuti anche a
problemi di cattiva gestione), la necessità di investire sullo sviluppo delle
reti di distribuzione verso le smart grid
(reti intelligenti che associano gli usi convenzionali alle possibilità offerte
dalle infrastrutture ICT, soprattutto nel campo del controllo e risposta della
domanda), l’assenza di una reale politica energetica europea. Non tutto è
perduto, ma probabilmente nuovi orizzonti dovranno essere aperti da uno
sviluppo tecnologico ulteriore, che non può prescindere dal sostegno alla ricerca; quella stessa ricerca in cui
eccellono le tante menti del Sud, troppo spesso protagoniste delle fughe verso un
Nord lontano da tutto, anche dal Mediterraneo.
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